venerdì 21 novembre 2008
FESTIVAL CINEMATOGRAFICO A BARI
Come ogni anno, durante le giornate del festival saranno proiettate diverse pellicole, in lingua originale e sottotitolate in italiano, che sono state selezionate accuratamente tra le più recenti opere cinematografiche realizzate da registi provenienti dal continente africano e dai paesi della diaspora nera, e suddivise per sezioni “film in concorso e fuori concorso”.
Al termine del Festival saranno premiati il miglior lungometraggio e cortometraggio, il miglior attore e la migliore attrice protagonisti, il miglior attore e la migliore attrice non protagonisti, la migliore fotografia e la migliore colonna sonora. Il racconto filmico è mezzo di comunicazione immediato per conoscere le bellezze, le brutture, i sogni, i desideri, gli umori, le ilarità, la quotidianità, gli amori, le passioni, le tradizioni, la storia di popoli di diversi paesi.
Il cinema si rivela un mezzo proficuo per una possibile e concreta comunicazione tra espressioni culturali diverse, elemento importante per la nostra società, che giorno dopo giorno sta configurandosi come una società multietnica. In questo contesto il Balafon Festival diventa un’opportunità per una rinascita dei paesi d’oltre mare e della stessa nostra terra, una possibilità per promuovere e diffondere le diverse realtà culturali e artistiche. E’ un’ iniziativa che desidera esprimere l’anima profonda del continente africano e dei “paesi africani” dispersi in tutto il mondo.
Un festival di immagini, musiche e colori di altri mondi che si propone come un momento di incontro e di scambio fra identità culturali differenti cercando di ampliare gli orizzonti conoscitivi di ciascuno
mercoledì 12 novembre 2008
Pamoja Dance Group - Un'altra Africa
Pamoja Dance Group è una compagnia di danza giovanile, unica nel suo genere, composta da circa 30 ballerini, con e senza disabilità fisiche, che lavorano sul potere dell’espressività corporea e sulle differenti abilità di ciascuno.
Fondata a Nairobi, in Kenya, con lo scopo di diffondere una nuova forma di integrazione tramite la creatività artistica, il Pamoja Dance Group (dal vocabolo ki-swahili Pamoja=insieme) unisce ragazzi accomunati dalla passione della danza che rappresentano, celebrandola, la diversità dell’essere umano, e la lotta contro ogni forma di esclusione sociale.
domenica 9 novembre 2008
GRAZIE MAMA AFRICA!
Voce leggendaria del continente africano e simbolo della lotta all'apartheid, Miriam Makeba, è morta in Italia a 76 anni, una volta lasciato il palco di Castel Volturno, in provincia di Caserta, dove aveva appena cantato in un concerto a sostegno dello scrittore Roberto Saviano, minacciato dalla camorra.
Conosciuta in tutto il mondo come "Mama Africa", Miriam Makeba nasce a Johannesburg il 4 marzo 1932 e si impone come cantante nel 1959, durante una tournèe negli Stati Uniti con il gruppo sudafricano "Manhattan Brothers". A 27 anni lascia il Sudafrica per necessità di carriera, senza immaginare che sarebbe stata poi bandita per le sue posizioni contro l'apartheid. Nel 1960 cerca di rientrare, per il funerale della madre, ma le autorità le tolgono la nazionalità. A seguito di questo bando, Makeba vive 31 anni in esilio, negli Stati Uniti, in Europa e in Guinea.
Fu la prima donna nera a vincere il Grammy Award per l'album "'An Evening with Belafonte/Makeba", inciso insieme a Harry Belafonte nel 1965. Due anni dopo arriva la fama mondiale con 'Pata Patà, ispirata a una danza in una baraccopoli. Nel 1968 sposa il leader delle Pantere Nere, Stokely Carmichael. L'evento solleva controversie negli Stati Uniti e Makeba si vede annullare i contratti discografici. Carmichael e Makeba si trasferiscono in Guinea. Il matrimonio dura però pochi anni: nel 1973 Makeba si separa e riprende a cantare, soprattutto in Africa, Sudamerica ed Europa.
Dopo la morte della figlia Bongi, nel 1985, "Mama Africa" si trasferisce in Europa, dove rimane fino al 1990, quando la liberazione di Nelson Mandela la convince a rientrare nel suo Paese. Ma passano sei anni prima che esca il suo nuovo disco, "Homeland", in cui racconta sempre l'apartheid, ma anche la gioia di essere tornata nel suo paese. «Ho mantenuto la mia cultura, ho mantenuto la musica delle mie origini - ha scritto nella sua biografia - grazie a questo sono diventata questa voce e questa immagine dell'Africa e del suo popolo, senza esserne cosciente».
domenica 2 novembre 2008
Interventi politici urgenti oltre l’emergenza umanitaria
Pubblichiamo l'appello di una rete di organizzazioni della società civile direttamente impegnate in azioni di solidarietà con le comunità locali che in questo momento stanno subendo ancora una volta le ingiustizie della guerra. Nella regione a nord-est della Repubblica Democratica del Congo si stà consumando un altro dramma indispensabile per il capitalismo e il potere. C'è un milione di persone che vive in zone troppo ricche per loro. Infatti a qualche decina di metri sotto il loro piedi è pieno zeppo di coltano. Loro non lo sanno estrarre, anche perchè non saprebbero cosa farne visto che serve solo all'Occidente. Appunto. All'occidente serve quel minerale, che guarda caso si trova solo in quella zona del pianeta.
Nella R.D. del Congo si sono da poco svolte le elezioni politiche per eleggere in nuovo Presidente e il nuovo Parlamento. Si è trattato di un evento storico per questo paese perchè da decenni era governato da un regime o da qualcosa del genere. C'è stata una "svolta democratica", come si dice in gergo politico moderno. E sono stati in tanti a sperare che, poichè la gente era andata alle urne e aveva espresso liberamente il voto, la situazione nel Paese e nel Kivu in particolare sarebbe migliorata! Addirittura l'Unione Europea ha finanziato missioni per garantire il corretto svolgimento delle elezioni che, infatti, si sono svolte correttamente. Ma il problema stà da un'altra parte, ad un altro livello della sfera sociale, sicuramente più in alto. Più in alto del vertice-simbolo della democrazia (intendendo un Presidente di una Repubblica eletto democraticamente). E allora possiamo affermare che nel caso del nord-Kivu, dove vive un milione di persone, la democrazia non è servita a nulla...segue l'appello
APPELLO
Per la pace nel Kivu
Interventi politici urgenti oltre l’emergenza umanitaria
L'offensiva lanciata nel Nord Kivu dal CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), un esercito irregolare sotto il comando del generale Laurent Nkunda, attestatosi alle porte della città di Goma, costringe ancora una volta la popolazione inerme a prendere la strada della fuga. Non si sa con certezza quanti siano questa volta i profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case. Certamente si tratta di centinaia di migliaia che vanno ad aggiungersi al milione di persone già censite come sfollati dalle agenzie umanitarie. La Comunità internazionale sta riconoscendo che si tratta di una nuova catastrofe umanitaria e si sta mettendo in moto per l'invio di aiuti di emergenza.
Resta tuttavia il problema politico delle cause di questa nuova guerra e dei problemi lasciati irrisolti, nonostante le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo e i tanti accordi non rispettati firmati dalle parti in causa.
Sono tanti gli attori di questa nuova crisi. Da una parte il Governo congolese, che nel Kivu ha ottenuto con le elezioni del 2006 un grandissimo consenso, perché la popolazione sperava che sarebbe stato capace di portare la pace e il diritto dopo tanti anni di guerra.
Dall'altra il generale Nkunda, che ha rifiutato di integrarsi con il suo gruppo armato nell'esercito regolare congolese, come prevedevano gli accordi firmati. Di più, durante questi anni, l'armata di Nkunda è andata sempre più rafforzandosi, anche con l'aiuto di forze esterne al paese, primo fra tutti il governo rwandese. Nkunda in questo momento ha anche il controllo amministrativo delle zone conquistate.
E' in campo anche l'Onu, con una presenza massiccia di militari (17.000, di cui 8.000 nel Kivu) che avrebbero il compito di assicurare il rispetto degli accordi presi, ma che sempre più, nonostante il mandato ricevuto in base al capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, non riesce a garantire l'osservanza di questi accordi, suscitando così la reazione della stessa popolazione, che si sente non protetta e abbandonata.
Sullo sfondo di tutto la ricchezza di questo territorio, definito “scandalo geologico”, che ha fatto dire ai vescovi congolesi che questa guerra è un “paravento” che nasconde lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.
A subire questa tragedia resta la popolazione inerme, stremata da una lunghissima guerra che ha fatto oltre quattro milioni di vittime e delusa nelle proprie speranze più profonde dopo aver partecipato in massa e con entusiasmo al processo elettorale.
I problemi e le sfide sul campo sono tanti: la costruzione di uno stato di diritto nella Repubblica Democratica del Congo, dopo una lunghissima guerra e la dittatura di trent'anni circa di Mobutu; la qualificazione dell'esercito della Repubblica Democratica del Congo, impreparato e corrotto, con i militari malpagati o non pagati, i quali trovano il loro mantenimento vessando la popolazione; la difficoltà di mettere insieme in un unico esercito gruppi armati che per anni si sono combattuti tra loro; la presenza nel territorio congolese di profughi hutu rwandesi e dei loro figli che si sono rifugiati in questo territorio dopo il 1994 e che non possono essere semplicemente definiti tutti come Interahamwe e responsabili del genocidio rwandese; l'entrata in campo di nuovi soggetti che vogliono partecipare allo sfruttamento delle ricchezze del territorio, primo fra tutti la Cina, con la quale il Governo congolese ha stipulato un accordo; la probabile ingerenza di paesi confinanti, primo fra tutto il Rwanda, che alcuni affermano aspiri ad impadronirsi di questo territorio anche tenendo conto della sovrappopolazione che l'affligge.
Noi sappiamo che, nonostante questi problemi irrisolti e la grande delusione dopo le elezioni, la gran parte della popolazione ha ancora la volontà di costruire una convivenza pacifica, uscendo definitivamente dalla guerra. Donne e uomini che si organizzano per resistere, per tentare di trovare non solo i mezzi per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto strade di riconciliazione e di pace. E' su queste persone, crediamo, che si deve contare per iniziare un'inversione di marcia che ponga le basi di una pace stabile.
Nel frattempo occorre dare voce alla politica, cominciando da alcuni punti fermi:
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Organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza;
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Partire dagli accordi firmati tra le parti. Occorre che la Comunità internazionale si mobiliti perchè siano attuati. Ci riferiamo in particolare agli accordi di Nairobi del novembre 2007 (disarmo dei gruppi armati dei profughi hutu rwandesi) e l'accordo firmato a Goma nello scorso mese di gennaio che dava vita al “Progetto Amani” per il disarmo di tutti i gruppi armati;
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Ribadire il mandato, unificando le regole di ingaggio dei contingenti delle Nazioni Unite presenti nel Kivu, perché possano svolgere il compito che è loro assegnato, cioè quello di far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio;
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Creare un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname affinché si arrivi ad accordi legali e trasparenti e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze;
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Arrivare ad accordi stabili per evitare sconfinamenti da parte dei paesi confinanti;
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Risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l'intera comunità. Uno degli elementi dello stato di diritto è il riconoscimento della soggettività della colpa e della pena;
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Partendo dalla sofferenza delle persone colpite, instaurare un dialogo ad oltranza che ridoni fiato alla politica e blocchi ogni scorciatoia di violenza armata;
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Proprio per questo, ripristinare l'embargo delle armi per i paesi della Regione, primi fra tutti la Repubblica Democratica del Congo, il Rwanda e l’Uganda;
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Sostenere gli sforzi della società civile organizzata affinché possa svilupparsi sempre più il processo di riconciliazione e di perdono reciproco.
Facciamo appello all’Italia, che è membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché svolga un ruolo attivo in quella sede e in Europa affinché vengano rispettati i diritti delle persone, sviluppata la democrazia, fermata ogni aggressione armata e finalmente perseguita la pace.
5 novembre 2008
p.s. suggerisco intermezzo musicale: http://it.youtube.com/watch?v=zaPdmyAQm_0&feature=related